Come aiutare chi soffre di Disturbo Ossessivo-Compulsivo

Quando mi capitava di conoscere persone mentalmente malate non potevo fare a meno di chiedermi: <Ma come fanno a non rendersi conto che non ha senso, non è razionale?>.

[…] Fino a quando la malattia non è entrata nella mia vita. […] Dialogando con il DOC sono stato risucchiato nel suo vortice. Stavo malissimo e il punto di vista che avevo prima (<Come fanno gli altri a non rendersi conto dell’assurdità di questi problemi?>) si era completamente rovesciato (<Come fanno gli altri a non rendersi conto della serietà di questi problemi?>).

[…] Senza rendercene conto siamo diventati noi “gli altri”. […] Ecco perché i nostri cari non capiscono e non si capacitano delle nostre “fisse” e “manie”: stanno facendo esattamente quello che facevamo noi, prima.

(Il DOC Chisciotte – A. Nisi)

Questa riflessione è tratta da Il DOC Chisciotte (Nisi, 2019), un libro che riporta l’esperienza di un ragazzo con diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) raccontata direttamente dal protagonista. Questo passaggio racconta di quanto sia difficile – ma, allo stesso tempo, fondamentale – mettersi nei panni degli altri e stare vicino a chi, in un momento della propria vita, soffre di disturbo ossessivo-compulsivo. 

In questa pagina vengono riportati informazioni e suggerimenti per chiunque stia accanto ad una persona con sintomatologia ossessivo-compulsiva.

Il caregiver: chi si prende cura della persona con il Disturbo Ossessivo-Compulsivo

Stare accanto ad una persona con disturbo ossessivo-compulsivo, che si tratti di familiari, partner, amici o chiunque se ne prenda cura (definiti caregiver), può diventare molto difficile. All’aggravarsi della sintomatologia, anche chi la vive indirettamente può sentire l’interferenza del disturbo nella propria vita, percepire la persona con disturbo ossessivo-compulsivo come dipendente dalle proprie cure e gestire con difficoltà sentimenti ed emozioni come colpa, insicurezza, frustrazione, vergogna (Torres et al., 2012). 

Per evitare che questo carico emotivo diventi ingestibile è opportuno che i caregiver riflettano sulle proprie conoscenze e competenze sul disturbo e agiscano di conseguenza. Per quanto riguarda le conoscenze sul disturbo ossessivo-compulsivo, in fondo a questa pagina sono riportate alcune risorse utili ad approfondire l’argomento. Di seguito, sono invece riportati alcuni suggerimenti per arricchire le proprie competenze.

Cosa fare con il paziente

Sia prima di intraprendere una psicoterapia che durante, la persona con  disturbo ossessivo-compulsivo può essere supportata seguendo questi suggerimenti (Melli, 2018):

  • Stabilire una buona comunicazione: molti pazienti riportano di vergognarsi delle proprie ossessioni e compulsioni e di nasconderle il più possibile ai caregiver. Per questo è opportuno stabilire un buon dialogo che faccia sentire la persona con  disturbo ossessivo-compulsivo non giudicata e ascoltata.
  • Riconoscere il  disturbo ossessivo-compulsivo come una malattia: prima di ricevere una diagnosi, è possibile che i pazienti abbiano mostrato qualche sintomo "sottosoglia"; pensiamo, ad esempio, a persone con disturbo ossessivo-compulsivo da contaminazione che precedentemente davano molta importanza alla pulizia degli ambienti domestici. In alcuni di questi casi, un caregiver può pensare che si tratti solo di un peggioramento di quelle “manie”, di un “modo di fare esagerato”. In realtà, il  disturbo ossessivo-compulsivo è un disturbo psichiatrico ed è importante che venga riconosciuto come tale, ossia come un disagio vissuto come non voluto ma che il paziente non riesce ad affrontare autonomamente, senza un supporto professionale.
  • Comprendere il disturbo e non arrabbiarsi: sia le ossessioni che i rituali possono apparire senza senso per chi non ha una diagnosi di  disturbo ossessivo-compulsivo. Può essere frustrante accorgersi che una persona a cui siamo vicini sia “schiava” di pensieri e rituali apparentemente strani e inutili. Come scritto nel precedente punto, è bene ricordarsi che si tratta di sintomi di un disturbo psichiatrico e che la persona con disturbo ossessivo-compulsivo – nella quasi totalità dei casi – condivide il giudizio negativo su ossessioni e compulsioni ma non riesce a liberarsene. Arrabbiarsi con una persona con  disturbo ossessivo-compulsivo può risultare umiliante per quest’ultima e scoraggiarla circa la possibilità di intraprendere un percorso terapeutico o continuarlo, se già in cura.
  • Non fare l’aiutante: essere vicini a chi soffre di  disturbo ossessivo-compulsivo non significa colludere con il disturbo. In altri termini: se il paziente ha bisogno di controllare ripetutamente che il portone di casa sia chiuso, prima di allontanarsi dall’appartamento, non deve essere rassicurato né controllando al suo posto né confermando di averlo visto mentre chiudeva. Questi comportamenti aiutano nell’immediato a ridurre l’ansia ma mantengono il problema e riducono la possibilità che la persona riesca a superare il disturbo.  
  • Incoraggiare la valutazione accurata del rischio ma non rassicurare: si tratta della sottile differenza tra rispondere: “Qual è la probabilità che accada ciò che temi?” e rispondere: “Non preoccuparti, non accadrà ciò che temi!”. Ad esempio, se il paziente sente il bisogno di andare a controllare di aver chiuso i fornelli del gas prima di uscire di casa, chiedergli quante volte gli sia capitato di non averlo fatto e cosa sia successo e quale sia la cosa peggiore che potrebbe accadere potrebbe aiutarlo a riflettere sull’infondatezza e sull’esagerazione delle proprie paure, affrontandole attivamente. Al contrario, rassicurarlo che non accadrà nulla significa relegare la persona con  disturbo ossessivo-compulsivo ad un ruolo non autonomo, passivo e privo di responsabilità individuale, ossia tutti elementi che mantengono il problema.
  • Coltivare un senso di distacco dal  disturbo ossessivo-compulsivo: vista l’intrusività dei pensieri ossessivi e il vissuto di obbligo nel dover mettere in atto i rituali, accade che il paziente si possa sentire un tutt’uno con il  disturbo ossessivo-compulsivo. Questo atteggiamento verso il disturbo può portare a parlarne spesso, lamentarsene per molto tempo durante la giornata. Il paziente ed il caregiver dovranno imparare a prendere le distanze dal  disturbo ossessivo-compulsivo, considerarlo un ospite indesiderato che, così come arriva, andrà via. In particolare, quando ossessioni e compulsioni sono presenti o potrebbero esserlo a breve, è opportuno provare a distrarsi spostando la conversazione su un altro argomento o proponendo un’attività piacevole. Per quanto possa essere difficile, questi tentativi porteranno ad avere le prove che in molti casi è possibile controllare o prevenire i sintomi, riducendone la percezione di inevitabilità.
  • Mostrare apertamente la propria approvazione: non sentirsi soli nella propria battaglia e riconosciuti per gli sforzi fatti aiuta significativamente la persona con  disturbo ossessivo-compulsivo a mantenere la motivazione a superare il disturbo. Questo non significa infantilizzare la persona e lodarla per tutto quello che fa, come se fosse incapace a causa del proprio disturbo. Significa, invece, riconoscere l’impegno che mette nel provare a distrarsi dalle ossessioni e a ritardare o non mettere in atto i rituali, apprezzarlo apertamente e incoraggiare a continuare.
  • Non drammatizzare eventuali momentanei cedimenti: in ogni cosa che facciamo è naturale che ci siano dei “giorni no” ma questo non significa che tutti gli sforzi fatti fino a quel momento siano stati vani, che la persona con  disturbo ossessivo-compulsivo sia incapace a superare il disturbo o che il caregiver non sappia supportarla adeguatamente. Significa solamente che, su 7 giorni, magari in 5 è stato possibile gestire i sintomi e 2 sono stati più difficili. Vederla in questa prospettiva non è solo un modo per “vedere il bicchiere mezzo pieno”, bensì un atteggiamento che ci permette di ottenere una fotografia più realistica e accurata di ciò che è realmente accaduto; un modo per non concentrarsi solo sul negativo, catastrofizzandolo, e riuscire a vedere anche quanto è stato fatto ed è accaduto di positivo.
  • Incoraggiare a riempirsi il tempo libero: ossessioni e compulsioni occupano molto tempo che viene sottratto ad attività o passatempi che la persona aveva. Inoltre, è possibile che il paziente eviti preventivamente di fare ciò che dovrebbe o vorrebbe fare per paura di avere i sintomi. Questi comportamenti innescano un circolo vizioso in cui la persona con  disturbo ossessivo-compulsivo si trova ad avere sempre più tempo libero, a non riempirlo con attività piacevoli ma prestando attenzione ai pensieri intrusivi che, a loro volta, generano ansia e lo costringono a mettere in atto i rituali. Per questi motivi, è importante che gradualmente il caregiver lo incoraggi a reinserire ciò che lo faceva star bene, a riempire adeguatamente quegli spazi vuoti che si sono venuti a creare a partire dall’insorgenza del disturbo. 

Il ruolo del co-terapeuta

Quando una persona con diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo ha intrapreso una psicoterapia cognitivo-comportamentale, il supporto attivo del caregiver può dare significativi benefici al trattamento e, in alcuni casi, risultare decisivo per la buona riuscita. 

In particolare, durante il trattamento il paziente sperimenta in studio delle tecniche che dovrà replicare a casa durante tutta la settimana. In questa fase, lo psicoterapeuta valuta il singolo caso e decide se è necessario inserire delle sedute nell’abitazione del paziente (soprattutto all’inizio, quando il paziente deve apprendere e consolidare le tecniche) o avvalersi di un coterapeuta, ruolo che può essere affidato ad un secondo psicoterapeuta o a un caregiver preventivamente istruito. 

Ad esempio, nel programma cognitivo-comportamentale per il disturbo ossessivo-compulsivo proposto da Abramowitz e colleghi (2013) il caregiver viene inserito nel trattamento in quattro specifiche fasi:

1. Discussione sulla tecnica dell’esposizione e prevenzione della risposta (ERP): lo psicoterapeuta insegna quella che risulta essere la tecnica più efficace per il disturbo ossessivo-compulsivo, ossia l’ERP. Sia paziente che coterapeuta vengono istruiti su come deve essere svolta e si esercitano in studio. Infine, lo psicoterapeuta indica come debba essere replicata nell’abitazione del paziente nei giorni che separano questa seduta dalla successiva e incoraggia entrambi a identificare possibili ostacoli nell’applicarla e strategie per superarli.

2. Affrontare la situazione temuta: dopo le prime applicazioni della tecnica in autonomia, paziente e coterapeuta si confrontano con lo psicoterapeuta che li aiuta ad individuare cosa sia stato fatto adeguatamente e cosa debba essere modificato o migliorato. Inoltre, in questa fase lo psicoterapeuta insegna al coterapeuta a supportare il paziente incoraggiandolo durante la pratica degli esercizi, sottolineandone i successi e sostenendolo tramite il rispecchiamento (una tecnica in cui il caregiver non rassicura il paziente ma gli risponde descrivendo le emozioni che sta provando; ad esempio, non risponderà “Mi dispiace, andrà tutto bene!” ma “Capisco che stai provando ansia per ciò che devi affrontare con questa tecnica”).

3. Affrontare l’ansia travolgente: quando l’applicazione delle tecniche risulta particolarmente ostica, lo psicoterapeuta insegna al coterapeuta ulteriori tecniche di gestione della situazione. In particolare, il coterapeuta viene istruito su cosa sapere (ad esempio, perché in alcuni casi specifici una tecnica può risultare difficile da mettere in atto), cosa fare (come supportare e incoraggiare, quando fermarsi e cosa fare durante le pause) e cosa non fare (non rassicurare o sostituirsi nel mettere in atto i rituali).

4. Valutazione: paziente e coterapeuta, insieme allo psicoterapeuta, valutano l’andamento del trattamento e i risultati ottenuti. Oltre alla capacità di mettere in atto le tecniche apprese, viene posta attenzione alle emozioni dei due. Come riportato precedentemente, sia il disagio esperito dal paziente che il carico emotivo del caregiver possono essere molto forti ed è importante che entrambi siano supportati durante il trattamento.


Altre risorse

Per chi volesse approfondire l’argomento, in inglese esistono molti siti (ad es., OCD Online) e libri di self-help (ad es., Abramowitz, 2009), sia in edizione digitale che cartacea. Meno numerose sono le risorse in lingua italiana; di seguito un elenco delle principali:

Cerchi aiuto per te o un tuo caro?

Bibliografia

  • Abramowitz, J.S. (2009). Getting over OCD. A 10-step wprkbook for taking back your life. Guilford Press.
  • Abramowitz, J.S., Baucom, D.H., Wheaton, M.G., Boeding, S., Fabricant, L.E., Paprocki, C., & Fischer, M.S. (2013). Enhancing exposure and response prevention for OCD: A couple-based approach. Behavior Modification, 37, 189-210.
  • American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione (DSM-5). [Edizione italiana a cura di M. Biondi]. Raffaello Cortina Editore.
  • Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo (AIDOC). http://www.aidoc.it/
  • Dorz, S., Novara, C., & Sanavio, E. (2012). Il chiodo fisso. Come comprendere e sopravvivere alle ossessioni. FrancoAngeli.
  • Fricke, S., & Hand, I. (2007). Avrò chiuso la porta di casa? Affrontare le proprie ossessioni.  Erickson.
  • Melli, G. (2018). Vincere le ossessioni. Capire e affrontare il disturbo ossessivo-compulsivo.  Erickson.
  • Nisi, A. (2019). Il DOC Chisciotte. Ovvero: come smetterla di lottare contro i mulini a vento e uscire dal disturbo ossessivo compulsivo. Positive Press.
  • OCD Online. https://www.ocdonline.com/
  • Spagnulo, P. (2009). Liberi dalle ossessioni. Vincere il DOC con la terapia cognitivo comportamentale di terza generazione. Ecomind.
  • Torres, A.R., Hoff, N.T., Padovani, C.R., & Ramos‐Cerqueira, A.T.D.A. (2012). Dimensional analysis of burden in family caregivers of patients with obsessive–compulsive disorder. Psychiatry and clinical neurosciences, 66(5), 432-441.
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