L’autismo è un Disturbo del Neurosviluppo che interessa circa una persona su 77 (Ministero della Salute, n.d.). Si caratterizza da difficoltà nella comunicazione ed interazione sociale e da comportamenti, interessi ed attività ristretti e ripetitivi (American Psychiatric Association [APA], 2013).
Negli ultimi anni si sta assistendo ad un aumento considerevole delle diagnosi di autismo. La spiegazione più razionale a ciò è un sostanziale miglioramento nelle procedure diagnostiche, legato anche allo sviluppo nei criteri e nelle procedure riconosciute a livello internazionale. Bambini che prima ricevevano diagnosi imprecise (o nessuna diagnosi) probabilmente vengono ora riconosciuti più correttamente come non neurotipici, avendo anche una maggiore probabilità di ricevere un trattamento adeguato e tempestivo, con miglioramenti nella qualità di vita della famiglia e in tutto il contesto sociale.
Approfondimento: Valutazione dell'autismo - strumenti e test
Tuttavia, questo aumento ha dato adito alle teorie più disparate (alcune francamente complottiste) relativamente ai fattori che causano l’autismo, fino all’ipotesi, totalmente errata, che vede coinvolti i vaccini.
In realtà attualmente non si conoscono ancora le cause che determinano l’insorgenza dell’Autismo. Tuttavia la scienza ha selezionato alcuni fattori che possono esporre ad un rischio maggiore.
È ormai certo che l’Autismo presenta una componente genetica importante. Questo non significa che sia stato individuato il “gene dell’Autismo”. La scienza ha mappato molti geni associati a questo Disturbo, che non entrano in gioco nello stesso modo per tutte le persone e che interagiscono tra loro e con fattori relativi all’ambiente (Istituto A.T. Beck, n.d.)
La ricerca ha inoltre approfondito il ruolo di fattori di rischio non genetici. Il più rilevante sembra essere l’età avanzata dei genitori al momento del concepimento. Potrebbero entrare in gioco anche, ad esempio, alcune malattie della madre durante la gravidanza, la prematurità ed il basso peso alla nascita. Incerto il ruolo rivestito dalla carenza di alcune vitamine (AutismSpeaks, n.d.), più chiaro quello dell’esposizione a farmaci ed inquinanti ambientali durante la gestazione (Surian, 2011).
Ma si può davvero parlare di “cause” dell’Autismo?“fattori di rischio”neurotipicheApprofondimento: L'autismo nel DSM 5
Quando e come si sviluppa l’Autismo?
Le problematiche emergono molto precocemente nella vita dei soggetti, già nei primissimi anni. L’anedottica clinica ci parla di diverse modalità di sviluppo dei sintomi di autismo nei bambini. In alcuni casi, i genitori riferiscono già dai primissimi mesi di vita un disinteresse per l'interazione da parte del bambino. Oppure, i segni di uno sviluppo non neurotipico appaiono solitamente evidenti tra i 10 e i 20 mesi. In casi rari i genitori riportano una sorta di "regressione" da parte del bambino, che perde abilità comunicative e sociali che apparivano precedentemente acquisite. Tuttavia, anche in questi casi, la storia dello sviluppo del bambino, approfondita con l'anamnesi, permette di evidenziare aspetti relativi ad uno sviluppo non neurotipico già precedenti (S.I.N.P.I.A., 2006).
Si può dire che generalmente i primi sintomi compaiano molto presto nello sviluppo, tuttavia la comparsa di sintomi visibili non coincide con l’esordio del Disturbo. Gli studi sulle basi biologiche dell’Autismo fanno infatti pensare che i processi alla base dello sviluppo di un cervello neurologicamente differente abbiano origine fin dalla gravidanza.
Autismo: le teorie per spiegarlo
Lo studio del cervello delle persone con Autismo ha rilevato deficit in alcune aree: sistema libico, cervelletto, ippocampo, amigdala, lobi frontali (Iescum, n.d.). L’attività cerebrale presenta alcune peculiarità, come una minore connettività neurale tra i due emisferi (Istituto A.T. Beck, n.d.). Tuttavia anche in questo caso non è possibile parlare di “mente autistica”: attualmente la ricerca non ha individuato alterazioni cerebrali, siano esse morfologiche o biochimiche, comuni a tutte le manifestazioni dei Disturbi dello Spettro dell’Autismo (Istituto Superiore di Sanità [ISS], 2017).
Gli studi più conosciuti sono quelli che si sono concentrati sul ruolo dei neuroni specchio, guidati dal gruppo di Rizzolati e Gallese. I neuroni specchio sono neuroni che si attivano quando osserviamo qualcuno fare un’azione, consentendoci di comprenderla. E’ stato proposto che gli individui con Autismo abbiano un deficit nel funzionamento dei neuroni specchio, ma questa ipotesi è ancora discussa (Iescum, n.d.).
Altri studi nell’ambito della neuropsicologia hanno cercato di fornire teorie esplicative dei Disturbi dello Spettro dell’Autismo. Le teorie principali, che hanno dominato il panorama scientifico per diversi anni, sono tre (Iescum, n.d.; Surian, 2011).
La prima è la Teoria della Mente: alcuni autori hanno ipotizzato che l’Autismo sia causato da una sostanziale incapacità a mettersi nei panni dell’altro. Con il termine “teoria della mente” si intendono le conoscenze psicologiche implicite che ci permettono di attribuire stati mentali agli altri. In sostanza, deduciamo che una persona sta pensando o provando certe cose e che sulla base di queste metta in atto dei comportamenti. Se non fossimo in grado di fare questo, sarebbe estremamente macchinoso e complesso interagire con gli altri. Ed è quello che i sostenitori di questa teoria ipotizzano che succeda ad una persona non neurotipica. A sostegno di questa tesi gli stessi autori hanno riportato per molti anni risultati che dimostravano come le persone con Autismo non riuscissero in compiti che misuravano capacità di Teoria della Mente. I compiti utilizzati in questi studi erano per lo più compiti di false credenze, il più famoso dei quali è quello di Sally e Anna. Questo compito è molto semplice e viene solitamente somministrato a bambini, ai quali viene raccontata la seguente storia, con l’ausilio di pupazzi e giochi: Sally nasconde la sua biglia nel cestino e poi esce dalla casa. Nel frattempo Anna sposta la biglia di Sally dal cesto alla scatola. Quando Sally tornerà, dove cercherà la sua biglia? Il bambino che risponde “nel cestino” dimostra di saper dedurre i pensieri di Sally, tenendo conto della sua “falsa credenza” (da cui il nome di questo tipo di test), data dal fatto che non era presente nella stanza quando la biglia è stata spostata. Si tratta di una capacità base di mettersi nei panni dell’altro (Surian, 2011). Risultati relativi ad adulti con Disturbi dello Spettro dell’Autismo in forma lieve e nell’ambito di compiti più complessi fanno tuttavia pensare che per questa teoria potrebbe essere necessaria una rilettura, un nuovo punto di vista. In un recente studio, i bambini e gli adolescenti con Autismo ad Alto Funzionamento mostravano di saper inferire gli stati mentali dei protagonisti di compiti sperimentali. Questo dato appariva tuttavia incompatibile con le difficoltà che le stesse persone in studio riportavano nella vita quotidiana. Pur padroneggiando il ragionamento alla base dell’attribuzione di stati mentali, questi bambini ed adolescenti non riuscivano ad applicarlo nella vita di tutti i giorni. I fattori alla base di questa difficoltà potrebbero essere molteplici, ad esempio la motivazione sociale, e non ancora definiti, ma questo studio apre alla possibilità di accogliere una maggiore complessità nell’ipotesi di un deficit di Teoria della Mente nell’Autismo (Scheeren, de Rosnay, Koot, & Begeer, 2013).
La seconda è la teoria della coerenza centrale: questa teoria ipotizza che le persone con Autismo manchino della capacità di elaborare le informazioni che arrivano dall’esterno in un tutto coerente. La tendenza alla coerenza centrale (o un suo deficit) coinvolge tutti i processi cognitivi. I risultati a sostegno di questa teoria sono relativi al fatto che le persone con Autismo hanno risultati molto scarsi in tutte le prove di intelligenza che necessitano, per essere risolte, di considerare il contesto. Nelle situazioni in cui invece per la risoluzione di un compito è necessaria un’attenzione immersiva per il dettaglio, ignorando il contorno, le persone non neurotipiche solitamente hanno risultati decisamente migliori. Ma quali sono le situazioni in cui il contesto ha un ruolo straordinariamente centrale? I compiti verbali e comunicativi, che sottendono aree dove la difficoltà è sintomatologica nell'Autismo. La studiosa che per prima sostenne questa teoria, Uta Frith, riporta un esempio chiarificatore. Un bambino con Autismo che alla domanda “cosa devi fare se ti tagli un dito?”, posta nel corso di un test di intelligenza, rispose “sanguinare”. Risposta non errata di per sé, ma poco appropriata nel contesto! Un altro dato che suffraga questa teoria è la tendenza, confermata da studi così come dall’anedottica, delle persone con Autismo a focalizzarsi su piccoli dettagli degli oggetti. Dettagli spesso assolutamente insignificanti agli occhi di una persona neurotipica, proprio perché tali sono se inseriti in un tutto coerente. Questa attenzione per i dettagli, soprattutto in situazioni in cui il Disturbo è presente in modo lieve, è in realtà spesso anche un punto di forza, spianando la strada a determinate professionalità che richiedono estrema minuziosità (Surian, 2011).
La terza teoria è la teoria delle Funzioni Esecutive, che vede nelle difficoltà di attenzione, pianificazione, flessibilità cognitiva e inibizione dei comportamenti inappropriati la natura del Disturbo. Le Funzioni Esecutive sono infatti quelle che permettono il controllo del comportamento. Sono i lobi frontali del cervello a svolgere un importante ruolo in questo senso, tanto è vero che le persone che subiscono lesioni in quest’area presentano deficit di queste capacità. Le funzioni esecutive sono essenziali anche in ambito sociale, area notoriamente deficitaria nell’Autismo: serve attenzione per comprendere i comportamenti altrui, e capacità di inibizione per comportarsi in modo adeguato nelle diverse situazioni sociali. Altri aspetti sintomatologici propri dei Disturbi dello Spettro dell’Autismo fanno pensare al coinvolgimento delle Funzioni Esecutive: comportamenti ed interessi ripetitivi e ristretti, la tendenza a rituali e compulsioni, l’impulsività. In effetti studi di neuroimmagini hanno confermato anomalie nei lobi frontali delle persone con sviluppo non neurotipiche. Studi storici evidenziarono la difficoltà per le persone con Autismo a sviluppare risposte diverse ad un compito: la tendenza era quella di perseverare sulla stessa modalità comportamentale. Una difficoltà peculiare per questo Disturbo sembra essere l’incapacità di spostare l’attenzione dalle caratteristiche di un oggetto sulle quali avevano precedentemente concentrato la loro attenzione, confermando che l’aspetto più colpito sarebbe proprio la flessibilità cognitiva (Surian, 2011).Approfondimento: Autismo - come riconoscerlo?
Cosa non causa l’Autismo
Prima di esaminare quelli che la letteratura ha attualmente individuato come possibili fattori di rischio per lo sviluppo dell’Autismo, è bene sgombrare il campo da vecchie teorie ormai superate o vere e proprie “bufale” mediatiche.
L’autismo non è causato da traumi o carenze affettive. Da quando il disturbo è stato inquadrato dal punto di vista medico e psicologico sono state proposte diverse teorie per spiegarne l’origine. Uno dei primi a formulare un’ipotesi in questo senso fu Bruno Bettelheim. Egli ipotizzò che la causa dei Disturbi dello Spettro dell’Autismo andasse ricercata nel rapporto con la figura materna. Fu lui a coniare il termine “madri frigorifero” per descrivere l’atteggiamento freddo e distaccato che osservava in queste donne. Secondo Bettelheim, questa modalità relazionale causava nel bambino l’idea di non poter influenzare il mondo intorno a lui, portandolo a ritirarsi.
Questa teoria è stata ormai ampiamente smentita. Purtroppo però ha ricevuto credito per molto tempo, male indirizzando la ricerca e la progettazione di interventi riabilitativi. Inoltre, questa teoria ha avuto un altro effetto fortemente negativo e talvolta trascurato: individuando nelle madri la causa di questo Disturbo, ha instillato in loro sentimenti di inadeguatezza e sensi di colpa (Iescum, n.d.).
Probabilmente Bettelheim non sbagliava nell’osservare un atteggiamento meno “caldo” nelle madri nella loro relazione con il figlio con Autismo. Tuttavia nella maggior parte dei casi questo stile relazionale potrebbe essersi sviluppato in risposta alle difficoltà del figlio, e non in precedenza ad esse. Va infatti considerato che una riduzione degli stimoli sociali può avere in realtà valore adattivo: permette infatti di ridurre anche lo stress che il bambino con Autismo solitamente prova in relazione ad essi.
Purtroppo però talvolta la teoria di Bettelheim viene “riproposta” ancora oggi e si può sentire parlare di traumi emotivi alla base dell’Autismo. E’ necessario fare chiarezza: i Disturbi dello Spettro dell’Autismo non sono causati da traumi emotivi come non sono causati da particolari modalità relazionali dei genitori. E’ vero che alcuni bambini, dopo aver subito gravissimi abusi o maltrattamenti, possono sviluppare una psicopatologia i cui sintomi “ricordano” fenotipicamente alcuni sintomi dell’Autismo. Ma si tratta di disturbi diversi e che richiedono trattamenti diversi.
L’autismo non è causato dai vaccini. Nella storia della ricerca scientifica relativa alla ricerca delle cause dell’Autismo va annoverato un altro triste capitolo: l’ipotesi che vede colpevoli i vaccini. Questo capitolo si apre nel 1998, quando Wakefield pubblica con i suoi collaboratori un articolo che sosteneva esistesse una chiara relazione tra la somministrazione del vaccino trivalente e lo sviluppo dell’Autismo.
Approfondimenti successivi da parte dei giornalisti hanno chiarito il fatto che questo risultato non era frutto di un semplice errore, ma di una vera e propria truffa. I dati erano stati manipolati, e l’autore principale aveva importanti interessi commerciali personali nel promuovere vaccini e trattamenti da lui stesso registrati.
Molti collaboratori di Wakefield si dissociarono dallo studio e la rivista che l’aveva pubblicato lo ritirò. La diffusione dello studio di Wakefield però scosse l’opinione pubblica e portò ad un significativo calo delle coperture vaccinali (Iescum, n.d.; Frati, n.d. ).
Purtroppo ancora oggi molte persone sono intimorite dalle vaccinazioni, anche a causa delle testimonianze di genitori di bambini con Autismo che sostengono che la causa del Disturbo del figlio debba essere ricercata proprio nelle sostanze contenuti nei vaccini. Di fronte ad un evento impattante come una diagnosi di Autismo, tutti noi cerchiamo di trovare una spiegazione. La domanda “perché?” che può diventare invadente nella mente di un genitori, può trovare risposta negli eventi che hanno di poco preceduto la diagnosi stessa. Alcune vaccinazioni dell’infanzia coincidono temporalmente con il periodo in cui solitamente compaiono i primi sintomi autistici. L’associazione è presto fatta. Ma una vicinanza temporale non implica un rapporto di causa-effetto, sebbene il nostro cervello sia portato a pensarlo. Senza contare che, come già approfondito, lo sviluppo del Disturbo ha luogo ben prima della comparsa dei primi segni visibili dello stesso. Studi condotti con rigore scientifico evidenziano l’assenza di qualsiasi legame tra Autismo e vaccini (Giovannetti, 2017).
Il ruolo della genetica
Il ruolo della genetica nei Disturbi dello Spettro dell’Autismo è da molto oggetto di studi e ricerche. Questi hanno permesso di individuare alcuni geni associati al Disturbo, localizzati sui cromosomi 15,16,22 e X. Si tratta di geni che hanno un ruolo nella produzione di proteine coinvolte nello sviluppo cerebrale e nel funzionamento di:
sinapsi ( strutture che permettono ai neuroni, cioè le cellule del cervello, di comunicare tra loro),
neurotrasmettitori ( sostanze che trasmettono l’informazione da un neurone all’altro, attraverso le sinapsi)
recettori (molecole che “ricevono” appunto l’informazione).
E’ probabile che, con il progredire degli studi, verranno identificati altri geni coinvolti, localizzati su altri cromosomi. Si può dire che, ad oggi, il risultato più importante nello studio dell’origine genetica dell’Autismo sia la consapevolezza della complessità della stessa (ISS, 2017).
Quindi l’autismo è ereditario? Che l’Autismo abbia una base ereditaria è dimostrato dal fatto che alcune sindromi a riconosciuta trasmissione genetica, come la Sindrome da X Fragile, sono spesso accompagnate da una diagnosi di Disturbo dello Spettro dell’Autismo.
Un’altra importante osservazione è che i gemelli omozigoti (che condividono lo stesso patrimonio genetico) hanno un’alta probabilità di essere entrambi autistici, seppure con gravità differenti, e che tale probabilità è decisamente più bassa nei gemelli dizigoti (che condividono solo parte del patrimonio genetico). La differenza è importante: i gemelli omozigoti sono entrambi autistici nel 92% dei casi, i gemelli dizigoti nel 10%.
Anche i fratelli e le sorelle di bambini autistici presentano un rischio aumentato di ricevere una diagnosi del Disturbo, anche in forma lieve (ISS, 2017). Il rischio non è infatti da intendersi solo relativamente a forme conclamate di Autismo. Si sta riconoscendo l’esistenza di un fenotipo più ampio coinvolto nei meccanismi di trasmissione genetica, che può comprendere lievi o isolati disturbi della comunicazione o della sfera della socialità. Tali caratteristiche sono state osservate come spesso presenti nei familiari dei soggetti con Autismo (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici [ANGSA], n.d.).
E’ di recente pubblicazione uno studio molto importante per la sua forza scientifica. Ha coinvolto infatti ben 2.001.631 individui, attraverso 5 Paesi e seguendo un disegno longitudinale (Bai et al., 2019). Questo studio potrebbe determinare una svolta fondamentale nella definizione dei meccanismi implicati nello sviluppo non neurotipico. Ha infatti evidenziato un ruolo molto importante di fattori genetici ereditabili, stimando un’ereditarietà dell’Autismo di circa l’80%.
I fattori di rischio ambientale
Proprio perché non è possibile identificare un gene, o una combinazione di geni, che possano spiegare da soli l’esordio di una sintomatologia autistica, è necessario prendere in considerazione fattori altri, fattori ambientali, che interagiscono con la genetica.
Le basi biologiche dei fattori di rischio ambientale dell’Autismo non sono ancora chiare. Esse potrebbero includere ad esempio associazioni non causali, effetti correlati ai geni, lo stress ossidativo, infiammazioni, l'ipossia / ischemia, alterazioni dei neurotrasmettitori e interferenze con le vie di segnalazione (Modabbernia, Velthorst & Reichenberg, 2017).
Aspetti genetici ed ambientali si combinerebbero quindi insieme, e la ricerca ha individuato alcuni possibili fattori di rischio soprattutto per quanto riguarda il periodo della gravidanza:
l’esposizione ad agenti infettivi, ad esempio la rosolia
l’esposizione ad agenti tossici anche attraverso l’alimentazione,
l’utilizzo di farmaci (ISS, 2017; Surian, 2011).
Rispetto all'ultimo punto, tristemente noto è il caso del talidomide, farmaco diffuso negli anni '60 come adatto soprattutto a contrastare le nausee gravidiche e che ha portato purtroppo alla nascita di molti bambini con malformazioni congenite a carico soprattutto degli arti. Meno noto il fatto che tale farmaco aumentava anche la probabilità che il nato ricevesse una diagnosi di Autismo (di circa 50 volte). Ora il talidomide non è più diffuso, ma nell’anamnesi della gravidanza di un bambino non neurotipico si registra l’assunzione di farmaci nel 39% dei casi (Surian, 2011). Sotto la torcia sono stati messi soprattutto farmaci antiepilettici, in particolare il farmaco valproato. Rigorosi studi hanno dimostrato infatti una forte associazione tra l’utilizzo di valproato da parte della madre durante la gestazione e diagnosi di Autismo. Tale associazione si è riscontrata anche per altri Disturbi del Neurosviluppo. L’effetto è dose-correlato: ciò significa che, all’aumentare della dose di valproato utilizzata, il rischio di Autismo aumenta. Meno chiaro il ruolo dell’assunzione di farmaci antidepressivi durante la gravidanza. Il consumo di tabacco della madre durante la gestazione, pur causando molte conseguenze relative, non sembra associarsi ad un amentato rischio di Autismo per il bambino. “Scagionati” per ora anche fattori come le procedure di procreazione medicalmente assistita, l'obesità e il diabete materno, il taglio cesareo (Modabbernia, Velthorst & Reichenberg, 2017).
Uno dei fattori di rischio più accertati è invece l’età dei genitori (ad un’età più avanzata il rischio aumenta). Entrerebbero in gioco anche fattori legati all’andamento della gestazione come gravidanza gemellare, parto prematuro, basso peso alla nascita.
Anche il fatto che la gravidanza disti meno di un anno da quella precedente è stato ipotizzato fattore di rischio per l’Autismo da alcuni studi. Al contrario alcuni ricercatori hanno messo in luce fattori che potrebbero diminuire la probabilità di Autismo. Sono stati pubblicati risultati relativi all’assunzione di Acido Folico (Autism Speaks, n.d.). L’Acido Folico (vitamina B9) viene consigliato a tutte le donne che stanno cercando una gravidanza o non ne escludono attivamente la possibilità, poiché non utilizzano metodi contraccettivi efficaci. Questo perché la sua assunzione, per essere efficace, deve iniziare almeno un mese prima del concepimento. L’efficacia dell’Acido Folico si lega alla sua capacità, ormai riconosciuta in modo unanime, di ridurre la probabilità per il nascituro di sviluppare alcune malformazione, tra cui i Difetti del Tubo Neurale. Alcuni studi hanno appunto sollevato la possibilità che tale vitamina possa ridurre anche il rischio di Autismo. Tuttavia, sono necessarie altre ricerche per chiarire questa relazione.
Altri studi hanno preso in causa carenze nutrizionali nel bambino con sviluppo non neurotipico, concentrandosi su: calcio, vitamina D, omega 3, ipotizzando che supplementazione di questi elementi come possibile trattamento. Tuttavia gli studi finora condotti in questo ambito presentano importanti limiti. Interventi nutrizionali per il trattamento dell’Autismo, comprese diete gluten-free o senza lattosio, sono ad ora basati su prove di efficacia inconsistenti.
Gli studi relativi ad elementi tossici ed inquinanti ambientali, pur presentando alcune limitazioni, hanno evidenziato alcune relazioni chiave che necessitano di approfondimenti ulteriori. Si parla soprattutto del ruolo del Mercurio e del Piombo (Modabbernia, Velthorst & Reichenberg, 2017).
Più controversi i risultati relativi ai fattori di rischio di ordine psicosociale. Se fino a qualche anno fa si riconosceva come determinante lo stress materno in gravidanza attraverso meccanismi legati alla produzione di dopamina (Surian, 2011), moderne review non hanno confermato questa relazione. Hanno invece sottolineato un’associazione tra diagnosi di Autismo ed immigrazione della madre (Modabbernia, Velthorst & Reichenberg, 2017).
Conclusioni
Nonostante lo sviluppo di studi relativi ai Disturbi dello Spettro dell’Autismo e ai fattori implicati nella loro origine e sviluppo, ancora questi meccanismi non sono chiari e sono necessarie ulteriori ricerche (ISS, 2017), anche se recenti dati depongono a favore di un forte coinvolgimento di fattori genetici.
Purtroppo nel corso della storia la mancanza di informazioni ha contribuito a creare un terreno fertile a teorie imprecise, errate e anche pericolose, come la teoria che lega causalmente Autismo e vaccino trivalente.
Proprio per evitare il triste ripetersi di queste situazioni la ricerca e divulgazione di informazioni scientificamente validate è fondamentale, affinché le famiglie siano correttamente informate e siano protette da infondati sentimenti di sensi di colpa.
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Bibliografia
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- Frati, D. (2018). Settimana europea delle vaccinazioni. Autismo: dove nasce la teoria del complotto. Disponibile in: https://www.sip.it/2018/04/24/settimana-europea-delle-vaccinazioni-autismo-nasce-la-teoria-del-complotto/[27 ottobre 2019].
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