Dismorfofobia e chirurgia estetica

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Il Disturbo di Dismorfismo Corporeo, anche noto come Dismorfofobia, si caratterizza per un’intensa preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni che le persone percepiscono nel loro aspetto fisico ma che non sono osservabili o che appaiono agli altri solo in modo lieve (American Psychiatric Association, 2013). I pazienti possono ritenere di essere brutti, non attraenti, o addirittura anormali o deformi e, conseguentemente, si sentono spinti a mettere in atto comportamenti ripetitivi come, ad esempio, confrontare il proprio aspetto con quello di altri, controllarsi continuamente allo specchio, dedicarsi eccessivamente alla cura del proprio aspetto, passare molto tempo a camuffare o coprire le parti del corpo che non piacciono e ricercare trattamenti estetici. 

Proprio quest’ultimo comportamento viene affrontato nel presente articolo ed è stato oggetto di studio di molte ricerche internazionali che hanno evidenziato come il 3-7% dei pazienti con dismorfofobia si rivolgano a specialisti in chirurgia estetica (Sarwer et al., 1998; American Psychiatric Association, 2013). 

Dismorfofobia: da chi viene richiesto un intervento di chirurgia estetica?

La chirurgia estetica è una branca specifica della chirurgia plastica che non si occupa della ricostruzione di parti corporee precedentemente esistenti, bensì di modificarle col fine di renderle più attraenti. Gli interventi possono riguardare tutta la superficie del corpo e, soprattutto, quelle parti del corpo maggiormente esposte agli sguardi altrui, ad esempio viso, seno e forme del corpo (American Society of Plastic Surgeons, 2001; Rotundo, 2015). Uno degli interventi di chirurgia estetica più richiesti dalle persone con dismorfofobia è la rinoplastica essendo il naso una delle aree corporee oggetto di maggiore preoccupazione (Neziroglu, & Yaryura-Tobias, 1993).

Circa il 76% dei pazienti con dismorfofobia non richiede trattamenti psichiatrici ma ricorre, nel 45%dei casi, a interventi dermatologici e nel 23% dei casi a interventi di chirurgia plastica (Philips, & Diaz, 1997; Philips et al., 2002). 

Inoltre, molti studi internazionali recenti si sono concentrati nell’indagare la presenza di persone che soddisfacevano i criteri per la diagnosi di disturbo di dismorfismo corporeo in coloro che si sottoponevano a interventi di chirurgia estetica ed hanno scoperto che la prevalenza riguardava dal 3,2% al 16,6% delle persone (Aouizerate et al., 2003; Crerand et al., 2004; Bellino et al., 2006; Vulink et al., 2006).

Ricerche più specifiche hanno rilevato la presenza del disturbo di dismorfismo corporeo o di alcuni sintomi in persone ricoverate in una clinica estetica (Altamura et al., 2001), in coloro che richiedevano procedure cosmetiche meno invasive come iniezioni di botulino o peeling chimico (Harth, & Linse, 2001; Castle et al., 2004), in pazienti dermatologici che lamentavano problemi di acne o lesioni vascolari benigne (Phillips et al., 2000; Bowe et al., 2007), in persone che richiedevano interventi di chirurgia estetica relativi a cicatrici (Crerand et al., 2004), oppure un consulto odontoiatrico (Hepburn, & Cunningham, 2006) o, ancora, in pazienti con problemi di obesità o che richiedevano trattamenti oculistici o maxillo-facciali (Herren et al., 2003; Adair, 2004). 

Una branca della ricerca ha valutato se e quali tratti di personalità potessero indurre le persone con dismorfofobia a valutare la possibilità di sottoporsi ad interventi di chirurgia estetica. Ad oggi, non è ancora chiaro se esistano specifiche caratteristiche personologiche ma numerosi studi hanno proposto tratti quali: perfezionismo, eccessiva paura per il giudizio degli altri e aspettative irrealistiche (Hewitt et al., 2003).

In particolare, il perfezionismo indurrebbe a sottoporsi a trattamenti estetici ritenuti indispensabili per eliminare le imperfezioni corporee percepite, intervenendo anche su aree del corpo altrimenti non raggiungibili attraverso diete e sport.

Valutazione del paziente che richiede un intervento di chirurgia estetica

Sulla base di quanto sopra descritto, risulta molto importante che gli specialisti in chirurgia estetica siano a conoscenza delle conseguenze negative a cui l’intervento potrebbe portare.

Anche quando viene raggiunto un ottimo risultato da un punto di vista estetico, il paziente può continuare a percepire il difetto e non avere un miglioramento nella sintomatologia. Anzi, può andare incontro a un disagio ancora più elevato, proprio a causa della realizzazione che, pur avendo fatto ricorso alla chirurgia, continua ad essere insoddisfatto del proprio aspetto fisico (Castle et al., 2006). 

Molti pazienti dichiarano infatti di essere insoddisfatti del risultato ottenuto con l’intervento. Questi provano sentimenti d’ira verso il medico, sviluppano sintomi depressivi o mettono anche in atto tentativi di suicidio (Phillips et al., 1992; Veale, 2000) e, in alcuni casi, ricorrono a provvedimenti legali verso il proprio chirurgo plastico (Leonardo, 2001), lo minacciano o reagiscono in maniera violenta (Sarwer, 2002).

Sono stati anche segnalati quattro casi di chirurghi assassinati da pazienti con dismorfofobia (Gorney, 2006).

In altri casi, i pazienti sono soddisfatti dell’operazione chirurgica ma spostano l’attenzione su un’altra parte del corpo (Crerand et al., 2005) o si focalizzano sulle sensazioni legate all’intervento, ad esempio la sensazione di pelle tirata conseguente al lifting o alla perdita di sensibilità dopo un intervento di aumento del seno (Pruzinsky, & Edgerton, 1990).

Prima dell'intervento, il paziente dovrebbe sottoporsi ad una valutazione psicologica che si articola nelle seguenti fasi (Rotundo, 2015):

  • Valutazione delle motivazioni, con particolare attenzione all’atteggiamento verso il proprio aspetto, stress, disabilità e quantità di tempo trascorso a mettere in atto comportamenti compulsivi
  • Valutazione della storia di vita
  • Valutazione delle caratteristiche di personalità
  • Indagine sull’eventuale presenza di passati interventi estetici, in particolare: numero di procedure attuate, percezione dei risultati da un punto di vista estetico e sociale e confronto con quanto riportato da familiari e amici
  • Valutazione delle aspettative nei termini di risultato estetico e sociale e delle possibili complicazioni correlate all’intervento. Infatti, le persone con dismorfofobia tendono a riporre una grande fiducia nella chirurgia estetica, ritenendola in grado di apportare un significativo cambiamento nella propria vita, ad esempio aiutandoli ad avere un partner o un nuovo lavoro (Veale et al., 2003)

Ad oggi, sembra che sempre più chirurghi plastici riescano a rifiutare la presa in carico di pazienti con sospetta diagnosi di dismorfofobia (e.g., Crerand et al., 2005) ma rimane una scelta difficile da prendere dato che alcuni pazienti possono presentare una sofferenza così forte da indurre i medici ad accettare la loro richiesta (Phillips, 2005). Inoltre, i pazienti che ricevono un rifiuto, possono proseguire la ricerca fino a trovare un altro specialista in chirurgia estetica disposto a venirgli incontro (Sarwer, & Crerand, 2008) o, in alcuni casi, procedere con l’autochirurgia. Veale (2000) e Phillips (2005) riportano, ad esempio, un elenco di casi critici:

  • un uomo che aveva utilizzato una spillatrice per rimuovere alcune imperfezioni sul suo volto

  • una donna che si era tagliata il grasso delle cosce con un coltello da cucina poiché non poteva permettersi una liposuzione

  • alcune persone che avevano danneggiato volontariamente il proprio volto per rendere necessario e giustificare un intervento di chirurgia estetica

Approfondimento: Psicoterapia

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Bibliografia

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