A ciascuno di noi nel corso della propria in vita, sin da bambino, è capitato di provare dolore ma, nonostante ciò, è difficile darne una descrizione comune, chiara e oggettiva. Ognuno di noi prova dolore in modo diverso. Percepire dolore è fondamentale per la nostra sopravvivenza: ci segnala un pericolo, ci insegna a mantenere la giusta distanza dal fuoco per riscaldarci senza bruciarci, può essere il primo sintomo di una malattia. Ma se persiste nel tempo e non è ben curato può avere conseguenze negative sulla vita, peggiorare l’umore, rovinare i rapporti con gli altri, compromettere l’ambito lavorativo e limitare la persona in ogni area della propria vita.
Dolore: definizione
Nonostante il dolore sia un’esperienza molto comune, è difficile darne una definizione completa ed esaustiva e descrivere le diverse tipologie di dolore che ognuno di noi può provare nell’arco della propria vita.
L’esperienza di dolore nasce con una valenza protettiva per la nostra esistenza, in quanto funge da indicatore che il nostro corpo è in pericolo. Attraverso i recettori del dolore (detti nocicettori), presenti in gran parte dei tessuti corporei, siamo capaci di rilevare la presenza di stimoli nocivi per l’organismo (provenienti dal suo interno o dall’ambiente circostante) e di generare un segnale di allarme in grado di avvisare il cervello del pericolo.
In generale, è possibile affermare che il dolore c’è quando la persona lo avverte ovvero quando riferisce di sentire dolore.
L’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a un danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno” (Merskey, 1986). Il dolore, quindi, non ha solo una componente fisica, corporea, sintomatologica ma è un’esperienza personale, soggettiva, dai connotati emozionali e per questo diversa per ognuno di noi. Williams e Craig (2016), nel tentativo di perfezionare tale definizione, specificano come il dolore sia caratterizzato da aspetti sensoriali, emotivi, cognitivi e sociali ovvero quanto il dolore provato a livello fisico dipenda anche dal significato che il soggetto assegna a quel dolore, dall’importanza che attribuisce ad esso, dalla soglia personale di dolore, da quanto compromette la quotidianità. La definizione della IASP suggerisce, inoltre, che il dolore non è sempre la diretta conseguenza di danni reali e attuali ai tessuti corporei (ad esempio una ferita provocata dalla puntura di un ago) ma può presentarsi anche in assenza di lesioni.
Tipi di dolre
Il dolore può essere localizzato e circoscritto ad una sede fissa cioè ad un preciso punto del corpo oppure irradiato se la persona avverte che, a partire dalla sede principale, il dolore si espande in altre parti del corpo. Il dolore diffuso interessa vari distretti corporei, in assenza di una sede principale di origine.
Il dolore viene comunemente descritto dalle persone utilizzando degli aggettivi come ad esempio pungente, pulsante, trafittivo, lancinante, urticante, martellante, acuto, sordo o penetrante.
Sulla base della sua intensità e durata può essere distinto in:
- Dolore acuto: è un dolore di durata breve che compare all'improvviso ed è associato a una causa che l’ha provocato (ad esempio il dolore provato a contatto con il fuoco). Tende a regredire fino a scomparire al cessare della presenza dello stimolo nocivo. Talvolta il dolore acuto può rappresentare il sintomo di una malattia (ad esempio il mal di gola può essere sintomo di un’influenza).
- Dolore cronico: è il dolore che continua oltre la fase acuta, perdura nel tempo, persiste oltre il processo di guarigione oppure si manifesta e prosegue in assenza di una causa organica identificabile e, in ogni caso, compromette la vita sociale, familiare, lavorativa della persona.
La misurazione del dolore
Il dolore è un’esperienza soggettiva che dipende dalla percezione e dal giudizio di chi lo sperimenta per cui è difficile realizzare strumenti in grado di darne una misurazione oggettiva. Ci si affida alla descrizione che la persona fa del suo dolore, al fine di ottenere una valutazione relativa all’intensità del dolore, al grado di spiacevolezza che esso procura, alla qualità e alla localizzazione.
Le scale più comunemente utilizzate per misurare l’intensità del dolore sono:
- Scala di valutazione numerica (NRS): si chiede al soggetto di indicare il livello del suo dolore su una scala da 0 a 10 (o da 0 a 100) dove 0 rappresenta “nessun dolore” e 10 (o 100) rappresenta “il peggior dolore immaginabile”. Lo strumento risulta di facile impiego ma è stata notata la tendenza da parte dei soggetti a memorizzare il valore assegnato e a scegliere alcuni numeri fissi.
- Scala visivo-analogica (VAS) di Scott-Huskisson (1976): è costituita da un segmento lungo 10 cm dove un’estremità corrisponde ad “assenza di dolore” e l’altra al “ più forte dolore immaginabile”. Al soggetto viene chiesto di indicare sulla linea l’intensità del suo dolore. La distanza in centimetri dallo 0 al segno indicato fornisce la misura del suo dolore. È di facile impiego e non soggetta a memorizzazione da parte del soggetto ma richiede una buona capacità di astrazione ed è difficile da utilizzare con anziani e con pazienti con stato avanzato di malattia. Non adatta a persone con disturbi visivi, deficit cognitivi o fisici.
- Scala del sollievo del dolore: è una variante della VAS nella quale gli estremi definiscono il grado di sollievo del dolore ovvero 0 indica “nessun sollievo” e 100 “sollievo completo”. Al soggetto viene chiesto di indicare sulla linea inclusa fra i due estremi l’entità del dolore rispetto a un momento precedente.
- Scale verbali semantiche: sono costituite da un segmento nel quale a diversi punti corrispondo descrizioni del dolore di crescente intensità. Un esempio è la scala verbale di Keele (1948) che include quattro livelli di dolore: leggero, moderato, forte, angosciante. Facile da somministrare e utile nel post operatorio ma priva di valori intermedi, fornisce una misurazione grossolana del livello di dolore ed è poco sensibile alle variazioni di dolore nel corso della terapia.
I limiti evidenziati nell’uso delle scale monodimensionali confermano di nuovo la necessità di ampliare la valutazione del dolore oltre la sua mera misurazione. È fondamentale rivolgersi al medico per valutare la natura fisica del dolore, ottenere una corretta diagnosi e condurre degli esami specifici che possano chiarirne le cause fisiche ed eventualmente suggerire la richiesta del parere di un medico specialista. D’altro canto la valutazione psicologica offre la possibilità di individuare e comprendere gli aspetti personali, sociali, emotivi e cognitivi coinvolti nell’esperienza dolorifica. È possibile ottenere un quadro del funzionamento psicologico del soggetto attraverso colloqui e la somministrazione di scale multidimensionali per il dolore e di test per valutare i correlati psicologici dello stesso.
Trattamento del dolore
Comunemente in presenza di un dolore di lieve intensità si ricorre ad analgesici o ad antinfiammatori senza consultare il medico. Se il dolore intenso persiste nel tempo o è ricorrente è preferibile rivolgersi a un medico che possa valutare la cura farmacologica più adatta. Le categorie di farmaci maggiormente prescritte per il dolore sono gli antidolorifici o analgesici, i farmaci antinfiammatori non steroidei, i miorilassanti e gli antidepressivi.
Ma anche quando una terapia è efficace per ridurre il dolore, non sempre riesce a migliorare la qualità di vita del paziente (Turk, Wilson & Cahana, 2011). In tal senso è necessario fare attenzione alla dimensione umana e relazionale del rapporto di cura tra medico e paziente ma anche ampliare il trattamento ad altre figure professionali che possano ognuna nel proprio ambito contribuire a prendersi cura del paziente.
Spesso lo psicologo è visto come “l’ultima spiaggia” dei pazienti più complessi o quando a livello medico non vi è alcuna possibilità di guarigione. In realtà si è visto come tecniche di rilassamento o di autoipnosi siano molto utili per pazienti con algie ricorrenti per aiutarli ad esempio a prendere sonno quando il dolore è più intenso (Tenti & Gremigni, 2017). In caso di dolore cronico sarà opportuno scegliere tra i trattamenti ad oggi considerati più efficaci in tale ambito ovvero la Terapia Cognitiva e Comportamentale classica o di terza generazione (Mindfulness, ACT e EMDR) e trattamenti con Biofeedback o Ipnosi.
Approfondimento: Psicoterapia
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Bibliografia
- Keele, K.D. (1948). The pain chart. Lancet, 2, 6-8.
- Merskey, H. (1986). Classification of chronic pain: Description of chronic pain syndromes and definitions of pain terms. Pain, Suppl.3, S1-S225.
- Scott, J., & Huskisson, H.C. (1976). Graphic representation of pain. Pain, 2, 175-184.
- Tenti, M., & Gremigni, P. (2017). Il dolore cronico come esperienza bio-psico-sociale. Ed. Maddali e Bruni.
- Turk, D.C., Wilson, H.D., & Cahana, A. (2011). Treatment of chronic non-cancer pain. The Lancet, 377 (9784), pp. 2226-2235.
- Williams, A.C.D.C., & Craig, K.D. (2016). Updating the definition of pain. Pain, 157 (11), pp.2420-2423.
Gent.ssima dott.ssa la ringrazio per il prezioso articolo di approfondimento di una tematica molto complessa da comprendere a volte. E’ stato utilissimo per avere un punto di vista anche critico per comprendere meglio le dinamiche del dolore.
Cordiali saluti
Gentile Rita, mi fa piacere che quanto descritto le sia stato utile. La ringrazio per l’interesse mostrato e la invito a leggere gli altri articoli di approfondimento. Comprendere è il primo passo per conoscersi e iniziare ad affrontare il proprio dolore, di qualsiasi natura esso sia.