Emofobia e belonefobia: la paura del sangue e degli aghi

emofobia

Queste paure estreme, denominate rispettivamente emofobia (fobia del sangue) e belonefobia (fobia degli aghi), si manifestano con ansia intensa, disgusto e persino svenimento quando una persona incontra due specifici stimoli: il sangue e gli aghi. La fobia specifica sangue/aghi, generalmente, risulta maggiormente presente durante l’infanzia (con l’età adulta tende a ridursi) e possiede una forte componente ereditaria. A differenza di tutte le altre paure, tale fobia è spesso contrassegnata da una perdita di coscienza (il 75% dei soggetti riporta almeno un episodio di svenimento) che è stata definita come un svenimento vasovagale. Alcune persone, infatti, possono svenire alla vista del sangue.

La perdita dei sensi, in queste fobie, è caratterizzata da eccitazione iniziale del sistema nervoso simpatico (con aumento della frequenza cardiaca, pressione sanguigna, respirazione, ecc.), seguita da una risposta parasimpatica esagerata, caratterizzata da un rapido calo della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna. Questa seconda fase è frequentemente accompagnata da nausea e perdita di coscienza. Per alcuni studiosi la causa di tali disturbi sarebbe da attribuire ad  un evento traumatico, esperito in maniera diretta o indiretta, riguardante sangue e/o aghi. Per altri, invece, sarebbe semplicemente un meccanismo evolutivo finalizzato alla sopravvivenza e determinato dal calo pressorio che riduce la perdita ematica in caso di ferite.

All’interno del panorama scientifico attuale la psicoterapia cognitivo comportamentale viene considerata l’intervento più efficace per la cura delle fobie specifiche, compresa l’emofobia e la belonefobia, e le tecniche principalmente impiegate sono di tipo espositivo (Wolitzky-Taylor et al., 2008). La storia dell'uso delle terapie di esposizione per tali disturbi è dominata da numerosi studi di casi clinici a partire dal racconto, nel lontano 1959, scritto da Stanley Rachman che parla di un insegnante di scuola femminile, di 24 anni, la cui ansia nei confronti delle siringhe e iniezioni, venne estinta attraverso l'esposizione in vivo ed in immaginazione nel corso di 11 sessioni.

Un vero interesse clinico per tali fobie, però, nacque negli anni ‘70 e, da allora, le numerose pubblicazioni scientifiche sull’applicazione della terapia espositiva sono riuscite a renderla famosa e riconosciuta come più rapida, più economica e più efficace di altri trattamenti (Öst, Sterner,1987; Wolitzky-Taylor, et al., 2008; Mednick, Claar, 2012). Gli interventi rapidi ed efficaci sono importanti, in particolar modo nel contesto medico ospedaliero, dove i pazienti con fobie del sangue, aghi e iniezioni possono rifiutare o evitare trattamenti anche vitali.

Sebbene la terapia di esposizione risulti un trattamento efficace per la fobia sangue/aghi, occorre però evidenziare che la concomitante applicazione di specifici esercizi di “tensione muscolare” risulta essere una componente fondamentale in questi casi. Il problema principale della cura di queste fobie specifiche (a differenza delle altre), infatti, è rappresentato dalla riduzione pressoria che può avvenire nel corso dell’esposizione alla situazione fobica. Per tale motivo è necessario prevenire tale evento insegnando al paziente a riconoscere i segni clinici che ne preannunciano l’insorgenza (vampate di calore, nausea, leggerezza, sensazione di svenimento ecc.) e le tecniche di tensione  (mediante la contrazione di uno o più gruppi muscolari) al fine di mantenere la pressione sanguigna a livelli di normalità. Una volta appreso ciò, è possibile procedere con le esposizioni, che possono essere eseguite in immaginazione, in vivo o mediante  l’uso di fotografie o video, e possono comprendere aghi, siringhe, una piccola puntura su un polpastrello, prelievi di sangue, interventi chirurgici ecc. Il primo ad utilizzare in maniera sistematica la tensione applicata durante l'esposizione (contrastando lo svenimento), fu il ricercatore svedese Lars Goren Öst. Attraverso una serie di studi Öst e colleghi hanno messo a punto e convalidato un protocollo di cinque sessioni (Öst et al., 1989).

La sessione 1 consiste nell'insegnamento della tensione muscolare. Durante le sessioni 2 e 3 il paziente viene sottoposto a ripetute esposizioni associate alla pratica della tensione. La sessione 4 è un viaggio in un centro per la donazione del sangue culminante con un prelievo. La sessione 5 consiste nella visione di un intervento chirurgico al torace. Una procedura di follow-up, dopo 6 mesi, comporta una contrattazione consistente nel mantenere attive le esposizione a situazioni fobiche (spesso tramite donazione di sangue) e brevi telefonate di aggiornamento sul mantenimento dei risultati al terapeuta. Tale successivo impegno, compreso  quello di diventare un donatore di sangue, può essere un obiettivo terapeutico prezioso, in quanto offre continue opportunità di rinnovare l'esposizione, contribuendo così al mantenimento degli effetti del trattamento.

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Bibliografia

  • Mednick, L., Claar, R. (2012). Treatment of severe blood-injection-injury phobia with the applied-tension method. Clinical Case Studies, 11(1), 24-34.
  • Öst, L., Sterner, U. (1987). A specific behavioral method for treatment of blood phobia. Behaviour Research and Therapy, 25 (1), 25-29.
  • Wolitzky-Taylor, K., Horowitz, J., Powers, M., Telch, M. (2008). Psychological approaches in the treatment of specific phobias: A meta-analysis. Clinical Psychology Review, 28 (6),1021-1037.

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