La ristrutturazione cognitiva non è una tecnica specifica ma un termine che indica lo scopo di un insieme di tecniche che spaziano tra il buon senso e interventi tecnici complessi che sono difficilmente formalizzabili come ricette che vadano bene per tutte le stagioni.
La ristrutturazione cognitiva è quindi lo scopo: ottenere un cambiamento nel modo di pensare del paziente. Si tratta di tecniche che puntano a modificare lo stile di pensiero o il modo di interpretare gli eventi. Spesso la ristruttuazione cognitiva prevede un processo di esplorazione e di analisi dei pensieri. In questo caso lo scopo è capire in che modo il paziente attribuisce un significato piuttosto che un altro a una situazione.
Dire "Mattia è uno stronzo" significa utilizzare un'etichetta che diverse persone applicano per differenti motivi.
Lo scopo della ristrutturazione cognitiva è di portare il paziente a “divenire il terapeuta di se stesso” e quindi non tanto persuaderlo e convincerlo quanto insegnargli un modo efficace e replicabile per mettere in dubbio pensieri e credenze disfunzionali e affrancarsi dalle conseguenze emozionali e comportamentali che comportano.
Glasner-Edwards (2015) parla in maniera più operativa dell’abilità di “mettere in discussione i pensieri” da parte del paziente che deve imparare a “essere scientifico e badare ai fatti”. Il punto di vista corretto è quello di vedere la seduta come lo spazio dove far sorgere dubbi al paziente sul proprio modo di pensare e di creare le condizioni grazie alle quali all’esterno della seduta faccia qualcosa di operativo che lo porti a osservare meglio i suoi pensieri e a rispondere a questi in maniera differente da come farebbe di solito.
Insegnare il metodo, favorire le condizioni per la pratica e non ingaggiare solamente atti di persuasione sui pensieri disturbanti del momento. È importante non confondere il mezzo con il fine: osservare e mettere in discussione i pensieri è il mezzo, l’azione, per cambiare nel lungo termine il modo di pensare e le credenze sul mondo che li generano. Dev’essere chiaro che non è un lavoro paragonabile a imparare qualcosa a livello teorico come le capitali europee e nemmeno di “pensare positivo”.
Tra le classiche modalità più semplici con le quali il terapeuta può lavorare sui pensieri del paziente possiamo, ad esempio, citare le seguenti quattro domande suggerite da Fennel (1989):
- Quali sono le prove a favore del tuo problema? Un errore comune consiste nello scambiare i pensieri e le proprie credenze per dei fatti.
- Quali sono i vantaggi/vantaggi di pensare in questo modo? (meglio chiederlo in due domande separate e successive).
- C’è qualche errore nel pensiero? Una volta che il paziente impara a cercare e riconoscere le distorsioni cognitive riesce a reagire meno a questi pensieri e a metterli subito in discussione.
- Quali modi alternativi di pensare ci sono? Molti pazienti seguono un filo di pensieri che segue il primo e più “forte” pensiero automatico negativo che gli è passato per la mente. Allenare a generare pensieri alternativi è un buon modo di non seguire questi come unica verità possibile.