Lo spettro autistico

spettro-autistico

«Appena Michele è entrato nel mio studio ho pensato: “ecco ci siamo”.

Un fantasma stava entrando insieme a lui. È agitato, in movimento, evita il mio sguardo e mi trasmette una bella parte dell’ansia che deve avere dentro. […]. Dentro di me penso: “Ecco un’altra volta lo spettro”. »

(Celi e Fontana, 2015, p.93)

Questo breve estratto mi è sembrato significativo per introdurre l’argomento dello spettro autistico, dal momento che l’autore ci obbliga con poche parole a riflettere sul doppio significato che il termine spettro porta con sé: il primo è quello che oggi la comunità scientifica utilizza per descrivere tutte quelle forme complesse, variabili, talvolta ambigue e difficili da riconoscere che noi comunemente abbiamo sempre identificato sotto l’etichetta “autismo”.

Il secondo significato di spettro, è sicuramente più evocativo e fa riferimento al suo sinonimo, “fantasma”, immagine che talvolta alcune caratteristiche comportamentali di questo disturbo richiamano alla nostra mente.

Il disturbo dello spettro autistico secondo il DSM 5

È con la quinta edizione del DSM che si ufficializza la definizione di “Disturbo dello spettro autistico”. Il DSM 5, uno dei manuali diagnostici maggiormente utilizzati a livello internazionale da psichiatri e psicologi, definisce il disturbo dello spettro autistico secondo due criteri principali:

  1. Deficit persistenti nella comunicazione e nell’interazione sociale in contesti multipli, come ad esempio:
  • Deficit nella reciprocità socio-emotiva
  • Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali
  • Deficit nello sviluppare, mantenere e comprendere le relazioni
  1. Comportamenti, interessi e attività ristretti e ripetitivi, come ad esempio:
  • Movimento, uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi
  • Aderenza inflessibile alla routine e/o rituali di comportamento verbale o non-verbale
  • Interessi molto limitati, fissi, anomali per intensità o profondità.
  • Iper o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambiente.

Nel DSM 5 quindi, a differenza di altri sistemi di classificazione e della stessa precedente versione (DSM IV-TR), è presente un’unica categoria diagnostica caratterizzata da due criteri principali (A e B), i quali devono essere integrati da diverse specificazioni a seconda del livello di gravità (richiede supporto, richiede consistente supporto, richiede un supporto molto consistente) e a seconda del fatto che al disturbo siano associati o meno: una compromissione intellettiva o del linguaggio, una condizione medica o genetica o un fattore ambientale, un altro disturbo del neurosviluppo, un disturbo mentale o comportamentale, catatonia.

Il disturbo dello spettro autistico così descritto nel DSM 5 va a comprendere quindi tutte le altre definizioni precedentemente legate all’autismo: autismo infantile, autismo di Kanner, autismo ad alto funzionamento, autismo atipico, disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato, disturbo disintegrativo dell’infanzia e disturbo di Asperger.

Tutte queste etichette corrispondono a funzionamenti con particolarità, caratteristiche, gravità propri e specifici e, la maggior parte di esse, un tempo costituivano categorie diagnostiche indipendenti; oggi invece descrivono l’autismo lungo il suo spettro.

Le cause dei disturbi dello spettro dell’autismo

Anche se ad oggi non è ancora possibile individuare con certezza la causa dell’autismo, sembra essere maggiormente accreditata l’ipotesi di più cause e fattori nel determinare le varie forme di autismo.

Nonostante gli importanti passi avanti fatti nel recente passato, la ricerca scientifica sulle cause è ancora molto vasta e nasconde molti misteri e punti oscuri.

Ci sono però dei punti fermi a cui la comunità scientifica è giunta e uno di questi riguarda cosa non è causa di un disturbo dello spettro autistico: varie ricerche scientifiche hanno ormai dimostrato in più occasioni che non ci sono prove per ipotizzare che l’autismo possa essere causato o correlato ad una relazione distorta tra madre e figlio o a madri fredde o depresse, le cosiddette “madri frigorifero”.

Svariate ricerche sembrano proprio chiarire che non sia la deprivazione emotiva o il modo in cui un bambino è stata allevato a causare un disturbo dello spettro autistico, piuttosto sembrano andare invece nella direzione opposta, verso un’ipotesi genetica e biologica.

È stato, ad esempio, dimostrato che la frequenza di disturbi psicopatologici nei genitori dei bambini con un disturbo dello spettro autistico è uguale a quella riscontrata in famiglie di bambini con altri problemi di sviluppo.

Inoltre, a ulteriore sconferma dell’ipotesi della madre-frigorifero e a rinforzo dell’ipotesi genetica, raramente un disturbo dello spettro dell’autismo si riscontra nei fratelli, mentre i gemelli monozigoti hanno maggiori probabilità sia dei fratelli sia dei gemelli dizigoti di presentare entrambi un disturbo dello spettro.

Sono molte le ricerche in cui vari autori hanno osservato, attraverso la risonanza magnetica funzionale e la risonanza magnetica nucleare, una maggiore o diversa attivazione delle connessioni neurocerebrali e differenze a livello morfometrico in varie regioni cerebrali nei bambini con autismo o ad alto rischio.

Negli ultimi anni perciò si stanno sviluppando delle tecniche di diagnosi basate sulla risonanza magnetica funzionale cerebrale in età precoce per individuare le connessioni cerebrali coinvolte nelle manifestazioni comportamentali dell’autismo.

Spesso, poi, si osserva nell’anamnesi di questi bambini problemi legati a generali condizioni negative neonatali e ostetriche.

In definitiva, studi più o meno recenti sembrano confermare il ruolo di una predisposizione genetica: in particolare, sembrerebbero essere molteplici geni che interagiscono tra di loro e con fattori ambientali a spiegare la vulnerabilità al disturbo.

Oggi, non esistono test genetici in grado di diagnosticare la predisposizione ad un disturbo dello spettro autistico, né esistono altri marker organici in grado di consentire una diagnosi, se la ricerca dovesse ancora svilupparsi e crescere in tale direzione non è da escludere che si possa arrivare ad un risultato di questo tipo.

Al momento attuale, la diagnosi di disturbo dello spettro autistico può essere fatta o esclusa solo in base alla presenza o all’assenza dei sintomi comportamentali ovvero attraverso l’osservazione delle manifestazioni comportamentali definite dai due criteri diagnostici sopra descritti.

Perché non si può parlare di guarire dal disturbo dello spettro autistico

Molti genitori non smettono mai di sperare che il proprio figlio o figlia guarisca dal disturbo, ma è corretto parlare di guarigione? In che termini ne possiamo discutere?

Sicuramente non si può parlare di guarigione in senso prettamente medico, non si può guarire da un disturbo dello spettro autistico come si guarisce da un’influenza, ma certamente si può intervenire sul disturbo e con efficacia dimostrata.

Si può molto cautamente parlare di guarigione nei termini in cui una diagnosi di disturbo dello spettro autistico viene revocata in seguito ad un significativo miglioramento delle aree deficitarie di performance sociale e intellettiva e alla scomparsa della sintomatologia comportamentale del disturbo.  

Questo risultato, seppur raro, è possibile e può essere raggiunto in seguito ad un intervento comportamentale consistente, intensivo e precoce; mentre per la maggior parte dei bambini che non vedranno mai la loro diagnosi revocata, questo tipo di intervento porta ad un netto miglioramento della qualità della vita.

Ivar Lovaas, padre dell’analisi applicata del comportamento fu uno dei primi a parlare di guarigione dal disturbo in questi termini e oggi l’ABA  è tra i modelli psicologici di studio e intervento sull’autismo maggiormente accreditati e riconosciuti per la sua efficacia.

L’analisi applicata del comportamento, ormai sostenuta da una gran quantità di ricerche empiriche, prevede che si intervenga nell’ambiente naturale del bambino, applicando l’approccio comportamentale classico alle aree del linguaggio, della comunicazione, del gioco, della socializzazione, delle autonomie personali, delle abilità scolastiche con una particolare attenzione a programmare la generalizzazione di tutte le abilità.

Bibliografia

  • American Psychiatric Association. (2001). DSM-IV-TR Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali. Milano: Masson.
  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders - fifth edition (DSM-5). Washington DC: APA.
  • Brambilla, P., Hardan, A., & Di Nemi, S. U. (2003). Anomalie dell’anatomia e dello sviluppo cerebrale dell’autismo. Le evidenze provenienti dagli studi con risonanza magnetica nucleare. Nòos. Aggiornamenti in Psichiatria9(4), 289-298.
  • Celi, F., Fontana, D., Rovetto, F., Memo, F., & Lambruschi, F. (2015). Psicopatologia dello sviluppo: storie di bambini e psicoterapia. Milano: McGraw-Hill Education.
  • Emerson, R. W., Adams, C., Nishino, T., Hazlett, H. C., Wolff, J. J., Zwaigenbaum, L., et al. (2017). Functional neuroimaging of high-risk 6-month-old infants predicts a diagnosis of autism at 24 months of age. Science translational medicine, 9(393), eaag2882.
  • Foxx, R. M. (2008). Applied behavior analysis treatment of autism: The state of the art. Child and adolescent Psychiatric clinics of North America, 17(4), 821-834.
  • Lovaas, O. I. (1987). Behavioral treatment and normal educational and intellectual functioning in young autistic children. Journal of consulting and clinical psychology, 55(1), 3-9.
  • McAdoo, W. G., De Myer, M. (1978). Personality characteristics of parents. In M. Rutter, E.Schopler (a cura di), Autism: a reappraisal of concepts and treatment (pp. 251-267). London: Plenum Press.
  • Persico, A. M., Napolioni, V. (2013). Autism genetics. Behavioural brain research, 251, 95-112.
  • Piven, J., Folstein, S. (1994). The genetic of autism. In M. L. Bauman, T. Kemper (a cura di), The Neurobiology of autism. Baltimore: John Hopkins University Press.
  • Schopler, E., & Mesibov, G. B. (1998). Apprendimento e cognizione nell'autismo. Milano: McGraw-Hill.
  • Wing, L. (1988). The continuum of autistic characteristics. In E. Schopler, e G.B.Mesibov (a cura di), Autism: Diagnosis and assessment. (pp. 91-110). New York: Plenum Press.

Cerchi aiuto per te o un tuo caro?

Informazioni sull'autore

>